31 maggio 2013

Con le Antille Olandesi celebriamo il Movimento Anticoloniale (1969). I cattolici sono 217.851 (73,8%) su 295.264 abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

30 maggio 2013

Missionario Pime: dall’Argentina a Phnom Penh, per ricostruire la Chiesa cambogiana

di Dario Salvi

P. Gustavo Adrian Benitez è il primo sacerdote argentino del Pime. Arrivato in Cambogia nel 2000, nel Paese asiatico ha deciso di diventare missionario e dedicare la propria vita all’annuncio del Vangelo. Egli racconta una Chiesa giovane e attiva, che “si apre a tutti” e invita “all’incontro”. E conquista i buddisti per la “dimensione comunitaria”.

Roma - La prospettiva per i prossimi anni è di "crescita continua" ed è proprio questa "la bellezza per noi preti: essere parte della ricostruzione della Chiesa e darle un volto che sia pienamente cambogiano". È quanto racconta ad AsiaNews p. Gustavo Adrian Benitez, sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) originario dell'Argentina, ma da 13 anni nel Paese asiatico prima come laico e poi sacerdote. Nato nel 1972 a Resistencia, nel nord-est, oggi è responsabile della parrocchia del Bambino Gesù a Phnom Penh. Primo sacerdote argentino del Pime, egli ha appreso i valori della fede in famiglia, tanto che pure il fratello Nestor è prete diocesano.
P. Gustavo ha compiuto esperienze di missione in diverse zone del Sud America, poi in Canada e infine l'Asia: Hong Kong, Davao nelle Filippine e poi la Cambogia, dove ha collaborato con New Humanity, ong legata al Pime. Nel 2002 la decisione di dedicare la propria vita al sacerdozio e alla missione. Egli è felice per l'ascesa al soglio petrino di Papa Francesco, il quale "ricorda a tutti noi che è compito di ogni cristiano l'annuncio della Parola di Dio". Della Chiesa cattolica i cambogiani ammirano "la dimensione comunitaria, l'apertura e l'invito all'incontro". Per dare forma ad una comunità che si identifica sempre più "con il popolo cambogiano e che trova sempre più forza per camminare sulle proprie gambe".
Ecco, di seguito, quanto ha raccontato p. Gustavo Adrian Benitez nell'intervista ad AsiaNews:

Tu sei argentino, come papa Francesco. Che valore ha la sua elezione per la missione della Chiesa?
Un Papa che proviene dall'America Latina, continente che ha vissuto sulla propria pelle sia l'evangelizzazione sia la colonizzazione, che ha sperimentato l'arrivo dei missionari, ha un gran valore. Egli ricorda a tutti noi che è compito di ogni cristiano l'annuncio della Parola di Dio; un compito che non spetta solo ai preti ma è proprio di ogni battezzato, perché la missio ad gentes coinvolge tutti noi, sacerdoti e laici. L'America Latina e l'Argentina possono dare molto in tema di missione, perché molto hanno ricevuto nella storia, nei secoli passati. Oggi la Chiesa sudamericana è pronta a uscire da se stessa e andare incontro agli altri, anche se persiste un atteggiamento di fondo improntato alla chiusura. In questo senso speriamo che l'esempio di Papa Francesco possa essere prezioso e incentivare. Anche dai documenti dei vescovi dell'America del Sud arriva questo invito forte alla missione.

Per Giovanni Paolo II l'Asia era il "compito" per il terzo millennio. Quanto è importante l'opera di evangelizzazione?
È un compito e una priorità della Chiesa, soprattutto quella cambogiana. A dispetto di una presenza che supera i cent'anni, essa ha dovuto affrontare prove enormi come la guerra, il dramma dei Khmer rossi e le violenze del regime di Pol Pot, quindi un quarto di secolo in cui è stata pressoché assente e vuota. In queste terre che guardano a oriente, la presenza dei cattolici e i valori cristiani hanno un significato enorme.

Qual è il contributo dei cattolici alla società cambogiana?
Una delle cose che i cambogiani ammirano di più di noi cattolici è la dimensione comunitaria. Il buddismo è una religione con una sfera fortemente privata, dove la salvezza passa spesso da se stessi. Per noi, invece, è la comunione e lo stare assieme che dà senso alla resurrezione di Cristo.  Una giovane di Phnom Penh ha voluto iniziare il cammino catecumenale proprio dopo aver scoperto questa dimensione comunitaria dei cattolici, col desiderio di osservarla più da vicino. E una dimensione della carità aperta a tutti, che muove e invita ad andare incontro all'altro.

Come è cambiata la Chiesa cambogiana dal 2000 a oggi?
La Chiesa in Cambogia in questi 13 anni è cambiata tantissimo. Dal 2000, quando sono arrivato come volontario laico, ad oggi il numero dei credenti è cresciuto di molto e ogni anno registriamo almeno cento nuovi battesimi adulti. Un dato che testimonia l'enorme mole di lavoro che tocca noi sacerdoti, assieme ai catechisti e ai laici in genere. Oltretutto, il dato importante è che la Chiesa locale sta prendendo una "forma" propria di Chiesa cambogiana, non più come straniera o come elemento "esterno". Sempre più la fede si identifica con il popolo cambogiano, una realtà che cresce, una Chiesa in movimento che trova sempre più forza per camminare sulle proprie gambe.

Quanto è importante la Chiesa nel ruolo di ponte fra fedi, culture ed etnie diverse?
In Cambogia vi è una fortissima identità nazionale, tanto che all'ingresso nel Paese si notano subito i tre segni distintivi: religione, nazione e regno. Sono elementi che vengono spesso ripetuti, anche dal Primo Ministro [Hun Sen] nei discorsi ufficiali. Ecco che il ruolo della Chiesa e dei cattolici come ponte diventa sempre più importante, anche se difficile. In gioco vi è anche il tema dell'inculturazione, con un delicato equilibrio fra la Chiesa, locale e universale, e la cultura cambogiana. Siamo nel periodo di resurrezione della Chiesa cambogiana, anche se i sacerdoti non sono ancora moltissimi e i seminaristi non abbondano (cinque ad oggi a Phnom Penh). Tuttavia, la prospettiva per i prossimi anni è di continua crescita ed è proprio questa la bellezza per noi preti: essere parte della ricostruzione della Chiesa e darle un volto che sia pienamente cambogiano. 


100mila cristiani uccisi ogni anno per la loro fede

Monsignor Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede all'ONU di Ginevra richiama al rispetto della libertà religiosa
Di Junno De Jesús Arocho Esteves

GINEVRA - Monsignor Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU a Ginevra, ha richiamato il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ad una maggiore protezione dei cristiani soggetti a discriminazioni ed aggressioni. Tomasi ha tenuto il suo discorso lunedì scorso, durante il Dialogo Interattivo del Consiglio a Ginevra.
“Le serie violazioni del diritto alla libertà religiosa in generale, e la recente continua discriminazione, con sistematiche aggressioni inflitte ad alcune comunità cristiane in particolare, preoccupano profondamente la Santa Sede e molti governi democratici, le cui popolazioni abbracciano varie religioni e tradizioni culturali”, ha affermato l’arcivescovo.
Monsignor Tomasi ha citato le allarmanti statistiche che stimano che oltre 100mila cristiani vengano violentemente uccisi ogni anno per la loro fede. Altri, ha aggiunto, sono costretti alla fuga, stuprati, torturati o rapiti a causa della loro appartenenza religiosa, come è avvenuto, ad esempio, in Siria, dove due vescovi sono stati sequestrati più di un mese fa ad Aleppo.
“Molti di questi atti sono stati perpetrati in alcune aree del Medio Oriente, in Africa e in Asia, e sono il frutto del bigottismo, dell’intolleranza, del terrorismo e di alcune leggi discriminatorie”, ha osservato monsignor Tomasi. “Inoltre, in alcuni paesi occidentali, dove storicamente la presenza cristiana è stata parte integrante della società, emerge un trend che tende a marginalizzare il cristianesimo dalla vita pubblica, ne ignora il contributo storico e sociale, e apporta addirittura restrizioni alla possibilità di portare avanti opere caritative e di volontariato da parte di comunità religiose”.
Citando il riconoscimento della religione, da parte del Consiglio dei Diritti Umani, come un valido contributo alla “innata dignità e al valore della persona umana”, monsignor Tomasi ha affermato che i servizi cui la Chiesa provvede in tutto il mondo, in particolare negli ambiti dell’educazione, del volontariato e della sanità, “impongono di non discriminare i cristiani”.
Concludendo il suo discorso, il presule ha ringraziato le varie delegazioni che hanno parlato nella sessione per la difesa della libertà religiosa e coloro che sono finiti nel mirino per la loro fede. Citando le parole di papa Francesco in occasione del 1700° anniversario dell’Editto di Milano, monsignor Tomasi ha affermato la sua speranza che “le autorità civili rispettino ovunque il diritto alla libera espressione pubblica della fede ed accettino senza pregiudizio il contributo che il Cristianesimo continua ad offrire alla cultura e alla società del nostro tempo”.


Con Anguilla festeggiamo l’Anguilla Day (1967). In questo territorio formato da 6 isole il cristianesimo è la religione predominante: il 40% sono anglicani, il 33% metodisti. I cattolici un piccolo gruppo.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

29 maggio 2013

LECTIO DIVINA, Dom. de Corpus Christi - (Lc 9, 11b-17) Ciclo ‘C’

Juan José Bartolomé, sdb

Jesús fue muchas veces huésped y comensal: compartió el hambre del hombre y su sed de convivencia. Cuando dio de comer a la muchedumbre que le escuchó, quiso multiplicar el pan escaso y saciar la necesidad de los que habían estado con Él.
Antes de calmar su hambre de pan, había calmado su necesidad de Dios; sólo atendió a quienes primero le habían atendido a Él. El milagro es consecuencia de la escucha a su Palabra. Es muy significativo que para obrar este portento, Jesús pidió la ayuda de sus discípulos, aunque pequeña, pero no insignificante; quiso que pusieran a su disposición lo poco que tenían: cinco panes y dos peces… Ellos pudieron ver el gran milagro: Jesús satisfizo a la muchedumbre que estaba con Él.
Los cristianos hemos de aprender de las actitudes de Jesús si queremos hacer verdad el mandato del Señor. La Eucaristía es el sacramento que sacia el hambre de los hombres, repartiéndoles el pan de Dios: Cristo Jesús. Nadie, que se sepa discípulo, puede permitirse no dar lo que tiene, si ofrece lo que posee, el Señor hace nuevamente milagros…

Seguimiento:
11b . En aquel tiempo, Jesús se puso a hablar al gentío del Reino de Dios y curó a los que lo necesitaban.
12. Caía la tarde, y los doce se le acercaron para decirle: “Despide a la gente; que vayan a las aldeas y cortijos de los alrededores a buscar alojamiento y comida, porque aquí estamos en descampado”.
13. Él les contestó: “Denles ustedes de comer”.
14. Ellos le replicaron: “No tenemos más que cinco panes y dos peces; a no ser que vayamos a comprar de comer para todo este gentío”
15. Porque eran unos cinco mil hombres. Jesús dijo a sus discípulos: “Díganles que se sienten en grupos de unos cincuenta”. Lo hicieron así, y todos se sentaron.
16. Él tomando los cinco panes y los dos peces, alzó la mirada al cielo, pronunció la bendición sobre ellos, los partió y se lo dio a los discípulos para que se los sirvieran a la gente.
17. Comieron todos y se saciaron, y recogieron las sobras: doce cestos.

I. Lectura: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice.

Aunque el texto narra un milagro, el relato se centra en un diálogo entre Jesús y sus discípulos. El milagro tendrá a la multitud como beneficiaria, pero ella no lo había pedido: primero se dejó anunciar el Reino y curar por Jesús; luego fue servida por los discípulos. Jesús sació el hambre sólo de cuantos escucharon su mensaje. El pan, que no fue siquiera deseado, se convierte en un don abundante.
Jesús mantiene la iniciativa durante todo el episodio, menos al inicio de la conversación con sus discípulos.
Ellos hubieran querido que la gente se fuera, una vez evangelizada. Y por buenas razones: no tenían alimento para darles. Vieron que era mucha gente y le pidieron a Jesús los despidiera.
El les dijo que les dieran comida, que vieran cómo satisfacer su hambre, pero ellos no teniendo ni comida ni dinero se sintieron desconcertados.
¿Cómo? Aquí su obediencia, más que su pobreza, es el “sustento” del milagro: Pusieron a disposición de Jesús lo poco que tenían.
Sin este cambio de actitud no hubiera habido milagro. No se acentúa el prodigio más que al final. La comida milagrosa se narra como si fuera una comida eucarística.
Para el narrador existe un alimento que sacia de verdad y que no puede perderse: el pan bendecido por Jesús y distribuido por sus discípulos es la prueba de ello.

II. Meditación: aplicar lo que dice el texto a la propia vida.

El misterio que hoy motiva esta fiesta aumenta la fe de la Iglesia. Como todo misterio, esconde una admirable historia de amor: Cristo Jesús no quiso sólo entregar su vida por la humanidad; tras haber convivido entre los hombres, buscó, además, el modo de en estar entre ellos; inventó cómo quedarse, en cuerpo y alma para siempre. ¡Sólo el amor divino llega a ser tan imaginativo!; ¡Sólo el poder de Dios puede ser tan omnipotente!:
En la fiesta de Corpus Christi celebramos y agradecemos la voluntad de Jesús de hacer lo imposible; ingeniándoselas para convertirse en nuestro alimento ordinario convirtió el pan en su cuerpo y el vino en su sangre para ayudarnos y apoyarnos en la vida diaria.
Él nos quiso tanto que no dudó en dar la vida por nosotros, y quiso seguir entre nosotros; pensó cómo quedarse a nuestro alcance; en el pan y el vino eucarísticos Cristo está al alcance de nuestra hambre y de nuestra necesidad.
El evangelio hoy recuerda ese empeño de Jesús por saciar a una multitud que había acudido a oírle ante el asombro de sus discípulos. La escena sigue siendo significativa para todos. La gente que recibió el pan no fue a Jesús más que para satisfacer su hambre de Dios; oyéndole hablar del Reino, se había olvidado de su hambre; y retrasó el comer para escuchar más largamente a Jesús.
Los que le acompañaban le hicieron caer en la cuenta: ni Jesús ni la muchedumbre se habían percatado; ambos estaban ocupados en Dios y su Reino. Jesús no siguió el consejo de sus discípulos que le instaban a liberarse de un gentío sin alojamiento y sin comida; los discípulos, conscientes de su pobreza, no sabían qué hacer con tanta gente en un descampado con dos peces y cinco panes; no sabían todavía que tener a Jesús supone contar con prodigios que sólo se le ocurren a quien ama más allá de lo imaginable.
En este suceso, en el comportamiento de sus protagonistas, estamos implicados todos. Repasemos brevemente con cuál de ellos nos identificamos más; y comprenderemos qué nos falta todavía para que nuestra práctica eucarística sacie por fin nuestra necesidad de Dios y nuestra necesidad de vida.
La gente había ido a oír a Jesús y algunos más necesitados, a pedirle curación; entretenidos escuchándole hablar del Reino y viéndole curar enfermos, perdieron la noción del tiempo y la sensación de hambre; fueron los discípulos quienes, preocupados por la escasez de medios, hicieron caer en la cuenta a Jesús de la responsabilidad que les venía encima.
La muchedumbre, que se vio sorprendida por el milagro, no había pensado en él; con Jesús, que le hablaba de Dios y de su Reino, lograba no sentir su necesidad más vital: el hambre de pan; Con Jesús, que curaba a cuantos lo necesitaban, no necesitaban de alojamiento ni de comida.
Pero Jesús se las dio: Les había proporcionado lo que era más importante. Les dio lo más necesario: su Reino; no les iba dejar en el despoblado, sin satisfacer lo de menos, su necesidad de alimento.
Para obtener de Dios el milagro menor hay que atreverse a desear de Él el prodigio mayor: Jesús multiplicó el pan para un gentío que prefirió pasar hambre antes que estar sin Dios, gente que empleó su tiempo en dejarse curar por dentro antes que en procurarse alimentos.
No sabemos de lo que nos estamos perdiendo si dedicamos el tiempo en satisfacer nuestras necesidades puramente materiales, sin alimentar nuestra hambre de Dios, profunda y radical.
Quien no escucha a Dios, como la muchedumbre, dejando para más tarde su propia necesidad, se verá sorprendido por las preocupaciones y se vaciará poco a poco, llenándose de cosas.
Cuántas veces participamos en la eucaristía y no vemos que se multiplique el pan de Dios en nosotros ni en nuestra comunidad, porque ponemos nuestra necesidad por encima de su querer; estamos muy ocupados en lo nuestro; solo le presentamos nuestra escasez y no le dejamos tiempo para que Él se presente como la respuesta a nuestras necesidades.
Ir a Jesús, como la muchedumbre, para que nos hable de Dios y nos lo haga cercano, es la manera más eficaz de ver saciada nuestra necesidad, sin haberla apenas sentido y ¡sin ni siquiera habérselo pedido!.
El pan multiplicado y la propia necesidad calmada, los tiene gratis quien pone a Dios y su Reino por encima de su hambre y de su necesidad; olvidarlo lo condena a no ver realizados grandes milagros.
Poniendo nuestra hambre, por insoportable que sea, y nuestras necesidades, por insaciables que nos parezcan, por encima y por delante de Dios y su Reino, nos lleva a privarnos del pan de Dios y de su vida.
Escuchemos a Jesús como la muchedumbre, y hagamos cuanto nos enseña; veremos que Él escuchará nuestra necesidad y la satisfacerá.
Un Dios atendido es un Dios atento. Es lógico el comportamiento de los discípulos, alarmados por la situación creada en un despoblado, al final de la jornada, y con escasos recursos y una muchedumbre que no había comido todavía.
No nos escandaliza la poca fe de los discípulos ni su intento por querer librarse de cuantos necesitaban su ayuda. En su actitud muchas veces nos encontramos nosotros. Como ellos, tenemos miedo a emprender algo con pocos medios; tenemos poca fe en el Señor
Los discípulos habían también estado escuchando al Maestro. Ellos creían tener lo suficiente para sí; y pensaron que podían liberarse de la necesidad de los demás; su poca generosidad les impedía prever la generosidad del Maestro: no podían esperarse un milagro tan estupendo, porque su egoísmo era mayor, pensaron solo en ellos.
No tenían alimentos; tenían pocos panes en el canasto y no podía caberles en el corazón la necesidad de una muchedumbre; se hicieron roñosos, porque se creían pobres; pero, más que escasos de bienes, lo que les faltaba era fe.
Multiplicando el pan y los peces, Jesús mostró a sus discípulos que quien vive con Él, debe abrir su existencia, por pobre que sea, a la necesidad de los demás; no se puede convivir con Jesús y no desvivirse ante el hambre de las muchedumbres.
Los discípulos habían visto cómo atendía a los enfermos y los curaba, cómo se acercaba a los marginados y los devolvía a la sociedad; cómo acogía a los pecadores y les devolvía a Dios; pero no habían aprendido la lección. Seguían pensando en que eran poco buenos como para dedicarse a hacer el bien a los demás, que disponían de pocas cosas para tanta necesidad: su fe escasa no pudo multiplicar sus escasos bienes. A pesar de contar con Jesús, no esperaban de Él milagro alguno.
De poco sirve que los cristianos comulguemos el Cuerpo de Cristo, que ahoguemos nuestra necesidad de Dios en la recepción del pan eucarístico, si somos insensibles ante la necesidad de pan que sienten tantos hombres hoy.
Seguimos los discípulos de Jesús pensando que nuestros panes y peces son escaso alimento para toda nuestra necesidad; y eso nos hace desentender a muchos hermanos que están hambrientos; ellos están más necesitados; no tienen nada…

III. ORAMOS nuestra vida desde este texto:

Padre Bueno, que siendo discípulos de tu Hijo seamos sensibles a la gran multitud de hermanos que tienen hambre de Ti, de todo lo que Tú puedes darles… Que los conduzcamos a Cristo Jesús, para que Él les colme sus necesidades espirituales y materiales.
Que no nos hagamos insensibles al hambre que padece nuestro entorno… Sólo así será eficaz y digna de ser ceída nuestra recepción de su Cuerpo y de su Vida.
Si nos llenamos de Ti, si comulgando tenemos a tu Hijo y al Espíritu que nos han dado, no podremos pasar por alto tantas carencias. El pobre y sus muchas necesidades nos hagan capaces de hacer posible la multiplicación del pan material y espiritual. Tú sigues siendo el mismo, ayer, hoy y siempre. Que nosotros te dejemos actuar y sepamos repartir el pan que tu Hijo multiplique también entre nosotros. ¡Así sea!


28 maggio 2013

Cattolico sotterraneo perde tutto in un campo di lavoro, ma guadagna la fede

La storia di Li JF, ex giudice e difensore dei più deboli, scarcerato dopo 11 anni di detenzione per la sua appartenenza alla Chiesa sotterranea. “Ho perso tutto, ma non Dio”.

Pechino - Un tempo giudice presidente di tribunale in una città cinese della costa orientale; poi imprigionato per 11 anni in un campo di lavoro a causa della sua appartenenza alla Chiesa sotterranea. È la storia di fratello Li JF, cattolico della Chiesa sotterranea cinese, appena scarcerato, così come la racconta Bob Fu, fondatore e presidente dell'associazione ChinaAid. "Li è stato imprigionato non per corruzione o attività criminali, ma perché dava consulenza legale gratuita ai più deboli e vulnerabili", spiega Fu.
"Avrebbe facilmente fatto fortuna se avesse scelto di continuare semplicemente la sua carriera legale - aggiunge - avrebbe evitato l'arresto, le botte, e le torture rimanendo in silenzio davanti alle ingiustizie". "Ma ha scelto una via diversa perché ha sentito la Voce nelle sue orecchie che diceva: 'Questa è la strada, percorretela'" (Isaia 30:21).
In una lettera a Fu dopo il suo rilascio ad aprile, Li ha scritto: "Ho perso tutto, ma ho guadagnato la fede in Dio"!". Nella missiva descrive come la sua salute sia peggiorata durante la detenzione, sua moglie ha chiesto il divorzio dopo minacce da parte delle autorità, e sua figlia è scomparsa.
Il fratello minore di Li è emigrato in Thailandia nel 2010, anche lui sotto pressione da parte delle autorità, dopo aver passato due anni in carcere. Mentre Li era detenuto, il governo si è impossessato della sua vecchia casa. Nonostante ciò, "fratello Li ancora dice di avere guadagnato dalla sua incarcerazione, perché non ha perso la sua fede in Dio", fa notare Fu.
Nel campo di lavoro, Li lavorava 14 ore al giorno e doveva subire tre ore giornaliere di "rieducazione". 


Pontificio Consiglio Migranti: alcune esperienze all'Assemblea Plenaria

Città del Vaticano - "Non avrei mai immaginato che in un’epoca caratterizzata da un continuo sviluppo scientifico e tecnologico di dimensioni straordinarie, il fenomeno della ‘prostituzione schiavitù’ potesse assumere delle proporzioni così vaste e terribili". Lo ha detto oggi pomeriggio Chiara Amirante, presidente dell'Associazione Nuovi Orizzonti, portando la sua esperienza con le persone che vivono in strada durante il pomeriggio dedicato dall'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti alle esperienze. "È drammaticamente crescente - ha detto - il numero di migranti privati della libertà, i cui diritti vengono negati. Si tratta di persone usate come mezzi per l’arricchimento e il benessere materiale di piccoli o grandi boss e troppo spesso sono vittime di abusi per i desideri sessuali altrui". Per la presidente di "Nuovi Orizzonti" (che ha 182 centri di accoglienza, formazione ed evangelizzazioni moltiplicati in Italia e all'estero con centri di asciolto, equipe di servizi) la tratta degli esseri umani "non è ancora oggetto di un’adeguata attenzione da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, e non viene considerata come una delle peggiori violazioni dei diritti umani di cui oggi siamo testimoni". Da qui l'impegno da parte di tutte le comunità cristiane nella pastorale di strada. "Le attuali sfide richiedono - ha spiegato - una radicale conversione che ci porti a passare dalla pastorale dell’attesa alla pastorale dell’incontro: andare in cerca non più della pecorella smarrita ma delle novantanove pecore che oggi sono fuori dall’ovile in balia di troppi lupi che continuano a infierire senza alcuna pietà". Di una rinnovata pastorale nell'ambito delle migrazioni forzate ha parlato Paolo Morozzo della Rocca della Comunità di sant'Egidio. " Per chi è stato condotto forzosamente a lasciare la propria patria il primo bisogno - ha detto - è certamente quello di trovare pace e sicurezza. Ma c’è un bisogno diverso e meno materiale da soddisfare: quello di trovare nel Paese di immigrazione una nuova cittadinanza fatta anche di gesti utili agli altri malgrado il persistere di tanti bisogni personali: una fraternità vissuta e consapevole". Mons. Enrico Feroci, direttore di Caritas di Roma ha portato la sua esperienza con i rom sottolineando l'importanza dell'integrazione.


Con l’Armenia celebriamo l’Indipendenza (1918). La chiesa cattolica vi conta 270.000 fedeli su una popolazione di 5 milioni.
Con l’Arzebaigian festeggiamo l’Indipendenza (1918). La chiesa cattolica è qui resa presente da 200 cattolici su una popolazione di 7 milioni. Vi è un’unica parrocchia, con due preti e un fratello laico.
Con l’Etiopia festeggiamo la Fine della Dittatura (1991). La chiesa cattolica è presente con 600.000 fedeli su 60 milioni di abitanti.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

26 maggio 2013

Con la Georgia celebriamo l’Indipendenza (1991). La chiesa cattolica è qui presente con circa 80.000 fedeli, pari a circa il 2% della popolazione.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

25 maggio 2013

Con l’Argentina celebriamo la Rivoluzione (1810). I cattolici sono 34,5 milioni (85%) su una popolazione di 38 milioni.
Con la Giordania festeggiamo l’Indipendenza (1946). La chiesa cattolica in questo paese è presente con 80.000 fedeli su una popolazione di 5,3 milioni.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

24 maggio 2013

Diálogo inter-religioso

Dom Demétrio Valentini
Bispo de Jales (SP) e Presidente da Cáritas Brasileira até novembro de 2011
Adital

Para nós cristãos, festejar a Santíssima Trindade é celebrar a verdade maior que Deus se dignou revelar. Quem poderia imaginar que a realidade do Deus Único e Verdadeiro comportasse em si mesma um mistério de plena comunhão, no relacionamento mútuo e dinâmico entre Três Pessoas com uma "mesma natureza e igual dignidade”!
Ao mesmo tempo que acolhemos a revelação de um Deus que se mostra Uno e Trino, nos damos conta que esta revelação é para nos garantir que somos acolhidos em seu mistério, pois ele nos insere em sua dinâmica de mútuo relacionamento. Deus se revelou, não para exibir sua realidade que nos ultrapassa de longe, mas para nos associar ao seu próprio mistério de amor.
Como os teólogos nos ajudam a compreender, Deus foi se revelando a si mesmo, na medida em que ia realizando nossa salvação, nos envolvendo em sua realidade, tornando-nos participantes do seu mistério, por pura bondade sua, e pela exuberância de sua misericórdia.
Deus se revelou, portanto, não para exibir seus predicados divinos, ou para satisfazer nossa curiosidade, e permanecermos alheios ao seu mistério. Mas ao contrário, ele se mostrou para nos envolver em sua vida, e participarmos do seu mistério.
Dentre as grandes religiões, o cristianismo é a única que professa a fé na Trindade de Pessoas existentes num único Deus. Este é nosso privilégio de cristãos. Ao mesmo tempo, este privilégio nos incumbe de uma grande missão: testemunhar que Deus nos envolve em sua realidade, de tal modo que nos sentimos atraídos pelo Pai, identificados com o Filho, e animados pelo seu Espírito de amor.
Assim como a revelação foi se desdobrando na medida em que Deus ia operando nossa salvação, assim nossa fé na Trindade nos atribui a obrigação missionária de mostrar a todos, quanto o mistério do Deus Uno e Trino ilumina nossa existência, e nos motiva a sintonizar sempre mais nossa vida com as verdades que Ele nos revelou a respeito de si mesmo.
Tempos atrás, participando de um simpósio sobre migrações, tive a oportunidade de conhecer um cineasta árabe, muito respeitoso de nossa fé cristã, mas muçulmano convicto, adepto da fé herdada de Maomé.
Com a serenidade de quem sintetizava sua fé na breve e densa fórmula do seu credo muçulmano: "Deus é Deus e Maomé é seu profeta”, ele se permitia nos interpelar, alegando que nossa fé na divindade de Cristo se constitui num irremediável equívoco que redunda na negação da unicidade de Deus, que a fé muçulmana se acha no dever de enfatizar e testemunhar ao mundo inteiro.
Diante desta interpelação, percebemos o tamanho do desafio, de promover o diálogo inter-religioso, que o Concílio Vaticano II recomendou no precioso documento "Nostra Aetate”, que ainda permanece quase desconhecido.
A grande novidade deste documento é reconhecer que todas as religiões contêm elementos de verdade, que precisam ser reconhecidos, e que servem de bom pretexto para um diálogo aberto e respeitoso, no relacionamento inter-religioso.
"A Igreja Católica nada rejeita do que há de verdadeiro e santo nestas religiões”, diz o documento do Concílio.
A busca do Deus verdadeiro é suscitada pelo Espírito de Deus em todas as religiões. É significativo que São Paulo foi buscar "nos vossos poetas” -referindo-se aos gregos que estavam na acrópole de Atenas– a surpreendente afirmação a respeito de Deus: "nele nos movemos, existimos e somos”, e acrescenta: "como disseram alguns dentre os vossos poetas”.
Portanto, se nós cristãos somos agora intimados a cultivar um diálogo construtivo com membros de outras religiões, não será simplesmente para ensinar a eles. Mas também para aprender. Como fez São Paulo no areópago de Atenas.


Un mondo sempre più pericoloso per rifugiati e migranti

La mancanza d’azione a livello globale in favore dei diritti umani sta rendendo il mondo sempre più pericoloso per i rifugiati e i migranti. È questo il messaggio diffuso da Amnesty International in occasione del lancio del suo Rapporto annuale 2013, che descrive la situazione dei diritti umani in 159 paesi e territori, nel periodo tra gennaio e dicembre 2012.

Amnesty international

I diritti di milioni di persone in fuga da conflitti e persecuzioni, o in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita per se stesse e le loro famiglie, sono stati violati da governi che hanno mostrato di essere interessati più alla protezione delle frontiere nazionali che a quella dei loro cittadini o di chi quelle frontiere oltrepassava chiedendo un riparo o migliori opportunità. “L’assenza di soluzioni efficaci per fermare i conflitti sta creando una sottoclasse globale. I diritti di chi fugge da quei conflitti non vengono protetti. Troppi governi stanno violando i diritti umani in nome del controllo dell’immigrazione, agendo ben al di là delle legittime misure di controllo alle frontiere” – ha dichiarato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia, presentando a Roma l’edizione italiana del Rapporto annuale 2013 pubblicata da Fandango Libri.
“Queste misure non colpiscono solo le persone in fuga dai conflitti. Milioni di migranti sono trascinati in un ciclo di sfruttamento, lavori forzati e abusi sessuali dalle politiche contrarie all’immigrazione. Questa situazione chiama in larga parte in causa la retorica populista, secondo la quale rifugiati e migranti sono responsabili delle difficoltà in cui s’imbattono i governi nazionali” – ha aggiunto Sami.
Nel 2012, una lunga serie di emergenze dei diritti umani ha spinto alla fuga numerosissime persone, dalla Corea del Nord al Mali, dalla Repubblica Democratica del Congo al Sudan, costrette a cercare riparo all’interno dei loro stati od oltre frontiera. Un altro anno è andato perso per la popolazione della Siria, dove poco o nulla è cambiato se non il sempre più alto numero delle vite perse o distrutte. Milioni di siriani sono stati costretti a fuggire dal conflitto. Il mondo è stato a guardare, mentre le forze armate e di sicurezza di Damasco continuavano a compiere attacchi indiscriminati e mirati contro i civili e a sottoporre a sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni extragiudiziarie sospetti oppositori e, a loro volta, i gruppi armati proseguivano a catturare ostaggi e a compiere esecuzioni sommarie e torture, seppur su scala minore.
La scusa che i diritti umani sono “una questione interna” è stata usata per bloccare ogni azione internazionale sulle emergenze dei diritti umani, come quella della Siria. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, cui è affidata la sicurezza globale e che è accreditato ad avere leadership, ha ancora una volta mostrato di non saper svolgere un’azione politica unitaria e concertata. “Il rispetto per la sovranità degli stati non può essere usato come scusa per non agire. Il Consiglio di sicurezza deve adoperarsi per fermare gli abusi che distruggono le vite umane e costringono le persone a lasciare le loro case. Deve farlo, rigettando la teoria, ormai logora e moralmente corrotta, che gli omicidi di massa, la tortura e le morti per fame non devono riguardare nessun altro stato”.
Chi ha cercato, nel corso del 2012, di fuggire da conflitti e persecuzione attraversando i confini internazionali ha trovato di fronte a sé incredibili ostacoli. È stato più difficile per i rifugiati varcare le frontiere che per le armi alimentare la violenza nei luoghi dai quali cercavano di allontanarsi. Tuttavia, l’adozione nell’aprile 2013 di un Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi ha fatto nascere la speranza che le forniture di armi che possono essere usate per commettere atrocità saranno fermate. “I rifugiati e gli sfollati non possono più essere considerati ‘lontani dal cuore, lontani dalla mente’. La loro protezione riguarda tutti noi. Il mondo privo di frontiere dei moderni strumenti di comunicazione rende sempre più difficile tenere le violazioni nascoste dentro i confini nazionali e offre a tutti un’opportunità senza precedenti di agire per i diritti di milioni di persone sradicate dalle loro case” – ha commentato Sami.
I rifugiati che sono riusciti a raggiungere altri Paesi per chiedere asilo si sono spesso trovati nella stessa barca – non solo metaforicamente – coi migranti che lasciavano il loro paese in cerca di una vita migliore per se stessi e le loro famiglie. Molti degli uni e degli altri ora sono costretti a vivere ai margini della società, penalizzati da leggi e prassi inadeguate, presi di mira da quella forma di retorica nazionalista e populista che alimenta la xenofobia e accresce il rischio di atti di violenza nei loro confronti. L’Unione europea ha posto in essere misure di controllo alle frontiere che mettono a rischio la vita dei migranti e dei richiedenti asilo e non garantiscono la sicurezza delle persone che fuggono da conflitti e persecuzione. In varie parti del mondo, migranti e richiedenti asilo finiscono regolarmente nei centri di detenzione e persino in container per la navigazione o gabbie metalliche.
I diritti di un’ampia parte dei 214 milioni di migranti non sono stati protetti né dai loro governi né dagli stati in cui si sono trasferiti. Milioni di essi hanno lavorato in condizioni che possono essere definite di lavoro forzato o assimilabili alla schiavitù, poiché i governi li hanno trattati da criminali e le grandi aziende si sono mostrate interessate più ai profitti che ai diritti dei lavoratori. I migranti privi di documenti sono stati maggiormente a rischio di sfruttamento e di violazioni dei diritti umani. “Coloro che vivono fuori dai loro paesi, senza uno status e senza il minimo benessere, sono le persone più vulnerabili del mondo e sono spesso condannate a una vita disperata nell’ombra. Un futuro più giusto è possibile se i governi rispetteranno i diritti umani di tutti a prescindere dalla loro nazionalità. La protezione dei diritti umani deve riguardare tutti gli esseri umani, a prescindere da dove si trovino” – ha concluso Sami.

Ulteriori sviluppi sui diritti umani messi in luce nel Rapporto annuale 2013

Nel corso del 2012, Amnesty International ha documentato specifiche restrizioni alla libertà d’espressione in almeno 101 paesi, torture e maltrattamenti in almeno 112 paesi. Metà degli abitanti del pianeta è rimasta costituita da cittadini di seconda classe per quanto riguarda la realizzazione dei loro diritti, poiché molti paesi non hanno agito nei confronti della violenza basata sul genere. Militari e gruppi armati hanno commesso stupri in Ciad, Mali e Repubblica Democratica del Congo; i talebani in Afghanistan e Pakistan hanno ucciso donne e ragazze; in paesi quali Cile, El Salvador, Nicaragua e Repubblica Dominicana, a donne e ragazze rimaste incinte a seguito di stupro o la cui gravidanza poneva a rischio la loro salute o la loro vita è stato negato l’accesso a servizi sicuri di aborto. In tutta l’Africa conflitti, povertà e violazioni dei diritti umani da parte di forze di sicurezza e gruppi armati hanno messo in evidenza la debolezza degli strumenti regionali e internazionali per la difesa dei diritti umani. Nelle Americhe, procedimenti giudiziari in Argentina, Brasile, Guatemala e Uruguay hanno fatto fare importanti passi avanti alla giustizia nei confronti delle violazioni del passato. Il sistema interamericano di protezione dei diritti umani è stato criticato da diversi governi.
Nella regione Asia e Pacifico la libertà d’espressione è stata repressa in Cambogia, India, Maldive e Sri Lanka e i conflitti armati hanno danneggiato la vita di decine di migliaia di persone in Afghanistan, Myanmar, Pakistan e Thailandia. Il governo di Myanmar ha rilasciato centinaia di prigionieri politici ma altrettanti rimangono ancora in carcere. In Europa e Asia Centrale, i governi hanno potuto ancora sottrarsi alle responsabilità per i crimini commessi nel continente europeo nel contesto del programma di rendition degli Usa. Nei Balcani, le possibilità di ottenere giustizia per i crimini commessi nelle guerre degli anni Novanta si sono allontanate. Le elezioni in Georgia sono state un raro esempio di transizione democratica in un’area, quella delle ex repubbliche sovietiche, in cui regimi autoritari hanno mantenuto la loro presa sul potere. In Medio Oriente e Africa del Nord, nei paesi in cui sono terminati regimi autocratici si è assistito tanto a un aumento della libertà d’informazione e a crescenti opportunità per la società civile quanto a passi indietro, costituiti da attacchi alla libertà d’espressione per motivi legati alla morale e alla religione. In tutta la regione, attivisti politici e per i diritti umani hanno continuato a subire la repressione, tra cui arresti e torture. Nel mese di novembre il conflitto di Israele e Gaza ha conosciuto una nuova escalation. A livello globale, la pena di morte ha continuato la sua ritirata nonostante alcuni passi indietro come le prime esecuzioni in Gambia dopo quasi 30 anni e la prima impiccagione di una donna in Giappone dopo 15 anni.

La situazione in Italia

Durante la presentazione del Rapporto annuale 2013, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha commentato il capitolo relativo all’Italia. “Anche quest’anno, il capitolo dedicato all’Italia testimonia di una progressiva erosione dei diritti umani, di ritardi e vuoti legislativi non colmati, di violazioni gravi e costanti se non in peggioramento” – ha dichiarato Marchesi. “Una situazione con molte ombre, tra cui l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne, gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello stato o sono stati torturati o maltrattati in custodia, la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è diverso dalla maggioranza per colore della pelle o origine etnica”. “La situazione dei diritti umani nel nostro paese ci ha spinto, all’inizio del 2013, a lanciare un vero e proprio ‘pacchetto di riforme’, l’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia, sottoponendola ai leader delle coalizioni in corsa per le elezioni politiche e a tutti i candidati. I leader di quattro formazioni politiche che compongono l’attuale governo (Berlusconi, Bersani, Monti e Pannella) hanno aderito all’Agenda così come 117 attuali deputati e senatori. È stato un risultato importante, ma ora è arrivato il momento di mantenere le promesse: ci aspettiamo che coloro che hanno firmato l’Agenda, in tutto o in parte, tengano fede agli impegni specifici presi con Amnesty International e con coloro che si sono informati, durante le elezioni, sulle loro posizioni in materia di diritti umani” – ha aggiunto Marchesi.
“È più che mai giunto il momento di fare riforme serie nel campo dei diritti umani. Non ci sono alibi. Non regge l’alibi della crisi, ammesso che considerazioni economiche possano valere a fronte della necessità di proteggere valori fondamentali. Anche le violazioni dei diritti umani costano, e spesso di più della loro tutela. Né rappresenta un'obiezione valida la presunta limitazione dell'agenda del governo. Il parlamento è stato eletto e il governo è in carica: entrambi sono tenuti a svolgere le rispettive funzioni nell'interesse generale e a garantire l'attuazione delle convenzioni internazionali che il nostro paese si è impegnato a rispettare” – ha concluso Marchesi.


Festa di Maria Ausiliatrice




Preghiera a Maria Ausiliatrice

O Maria Ausiliatrice, noi ci affidiamo nuovamente, totalmente, sinceramente a te!
Tu che sei Vergine Potente, resta vicino a ciascuno di noi.
Ripeti a Gesù, per noi, il "Non hanno più vino"
che dicesti per gli sposi di Cana,
perché Gesù possa rinnovare il miracolo della salvezza,
Ripeti a Gesù: "Non hanno più vino!", "Non hanno salute, non hanno serenità, non hanno speranza!".
Tra noi ci sono molti ammalati, alcuni anche gravi,
confortali, o Maria Ausiliatrice!
  Tra noi ci sono molti anziani soli e tristi,
consolali, o Maria Ausiliatrice!
Tra noi ci sono molti adulti sfiduciati e stanchi,
sostienili, o Maria Ausiliatrice!
Tu che ti sei fatta carico di ogni persona, aiuta ciascun di noi a farsi carico della vita del prossimo!
Aiuta i nostri giovani, soprattutto quelli che riempiono le piazze e le vie,
ma non riescono a riempire il cuore di senso.
Aiuta le nostre famiglie, soprattutto quelle che faticano a vivere la fedeltà, l'unione, la concordia!
Aiuta le persone consacrate perché siano un segno trasparente dell'amore di Dio.
Aiuta i sacerdoti, perché possano comunicare a tutti la bellezza della misericordia di Dio.
Aiuta gli educatori, gli insegnanti e gli animatori, perché siano aiuto autentico alla crescita.
Aiuta i governanti perché sappiano cercare sempre e solo il bene della persona.
O Maria Ausiliatrice, vieni nelle nostre case,
tu che hai fatto della casa di Giovanni la tua casa,
secondo la parola di Gesù in croce.
Proteggi la vita in tutte le sue forme, età e situazioni.
Sostieni ciascuno di noi perché diventiamo apostoli entusiasti e credibili del Vangelo.
E custodisci nella pace, nella serenità e nell'amore,
ogni persona che alza verso di te il suo sguardo e a te si affida.


Amen
Si celebra il Giorno delle Bermuda (1993). In questo arcipelago la chiesa cattolica è presente con 6 parrocchie. I cattolici sono 9.275 (13,9%).
Con l’Eritrea celebriamo la Festa dell’Indipendenza (1993). I cattolici sono 141.463, corrispondenti al 2,6% di una popolazione di 5 milioni. La chiesa gestisce 115 istituti scolastici e 59 istituzioni assistenziali.


(dall'Agenda Biblica e Missionaria EMI)

23 maggio 2013

Santa Sede: la sollecitudine della Chiesa verso i migranti

Città del Vaticano - “Tutti gli uomini, pur nella varietà delle loro appartenenze etniche, culturali, religiose, sociali e politiche, costituiscono un dato di sostanziale uguaglianza che non può essere mai messo in crisi se non da una volontà violenta ed oppressiva”. Lo ha detto questa mattina mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, intervenendo alla XX Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti (fino a domani), sul tema “La sollecitudine pastorale della Chiesa nel contesto delle migrazioni forzate. Ci troviamo – ha detto il presule - dentro una società che è “dominata da una cultura di morte. Da una concezione di una realtà in cui anziché riconoscere, favorire e promuovere la vita umana in tutte le sue dimensioni ed aspetti, si realizza una situazione in cui prevale la negatività e la morte. E la morte purtroppo non soltanto come esperienza di violenza patita in queste enormi vicende in cui la vita umana è stata, ed è, sistematicamente negata per ragioni di carattere razziale, politico, economico e sociale, e quindi non soltanto la morte come privazione della vita, ma anche la morte come avvilimento della vita, come negazione del fatto che l’uomo abbia in sé un valore irriducibile a qualsiasi altra connotazione, a qualsiasi condizionamento naturale o indotto”. Per mons. Negri questa cultura della morte “non si combatte opponendo ad essa, in modo ideologico, una presunta cultura della vita, caratterizzata da valori umani, culturali e sociali che permangono però in una formulazione astratta e quindi anch’essa ideologica. Alla cultura della morte non si contrappone ideologicamente una cultura della vita, come alla cultura della morte che si caratterizza da un ateismo dilagante non si contrappone una cultura religiosa fatta di formule religiose e valori religiosi. Alla cultura della morte la Chiesa è chiamata ad opporre, in maniera limpida e coraggiosa una esperienza reale, storica e concreta della cultura della vita” E questa cultura è “la presenza della Chiesa stessa, della sua obiettiva realtà sacramentale e sociale”.Per Laura Zanfrini dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, la “dignità dell’essere umano deve essere anteposto a qualsiasi altra considerazione o finalità, per quanto meritevole o ragionevole quest’ultima possa apparire”. “A fronte della dimensione collettiva” che le migrazioni forzate sono venute assumendo –ha spiegato – la “protezione deve sempre essere garantita ai singoli individui”. La presenza dei migranti e dei rifugiati – ha detto Zanfrini – “chiama la fede e l’esperienza ecclesiale a ripensarsi” e “offre alle Chiese locali l’occasione di verificare la loro cattolicità e di ricercare il suo volto autentico di sperimentare quel pluralismo etico e culturale che dovrebbe costituire una dimensione strutturale della Chiesa; di incorporare in sé l’immensa varietà della condizione umana in tutte le sue legittime manifestazioni; di non limitarsi ad accogliere, ma di fare comunione con le diverse etnie; di essere provocati all’approfondimento della propria fede; di acquisire una mentalità più universale, meno localistica”. Concludendo cita i rifugiati per motivi religiosi: “costoro – spiega la docente - interpellano le nostre Chiese locali che hanno, nel tempo, visto ridursi la loro capacità di attrarre fedeli: si può immaginare il disorientamento che ciò può provocare in chi ha visto la propria vita messa a repentaglio per aver scelto di essere un cattolico praticante”.

“Oltre a sollecitare un impegno particolare da parte della Chiesa – per esempio attraverso la richiesta di programmi e dispositivi di protezione ad essi specificamente riservati, sulla scorta di quanto già avviene in alcuni Paesi –, il loro arrivo – ha concluso - dona una vivacità insperata alle Chiese occidentali, sollecita a condividere la medesima fede con cristiani che provengono da altri Paesi e altri continenti, fa nascere possibilità evangeliche nascoste, apre spazi alla creazione di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera”. (Raffaele Iaria)


LECTIO DIVINA, Dom. de la Santísima Trinidad - (Jn 16, 12-15), Ciclo ‘C’

Juan José Bartolomé, sdb

Tras haber celebrado los misterios centrales de nuestra fe, retornamos al tiempo ordinario, en el que acompañaremos a Jesús, como lo hicieran sus discípulos por la Galilea, oyendo de su boca la predicación del Reino y presenciando los portentos que hacía.
Tenemos una nueva oportunidad para ir aprendiendo de Jesús, dejándonos sanar de nuestras dolencias, mientras caminamos con Él. Antes de iniciar este recorrido, la Iglesia nos invita a que centremos nuestra atención - ¡y ojalá nuestro corazón! – solo en Dios, y contemplemos su misterio más íntimo, su ser como único Dios, siendo tres personas distintas: PADRE, HIJO y ESPÍRITU SANTO.

Seguimiento:

12. En aquel tiempo, dijo Jesús a sus discípulos: “Muchas cosas me quedan por decirles, pero no pueden cargar con ellas por ahora.
13. Cuando venga él, el Espíritu de la verdad, los guiará hasta la verdad plena. Pues lo que hable no será suyo: hablará de lo que oye y les comunicará lo que está por venir.
14. Él me glorificará, porque recibirá de mí lo que les irá comunicando.
15. Todo lo que tiene el Padre es mío. Por eso les he dicho que tomará de lo mío y se los anunciará”

I. Lectura: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice.

Parte, y muy breve, de un largo discurso de despedida (Jn 16, 13-17), el texto anuncia la venida del Espíritu y la misión que cumple su llegada: hablar, comunicar, guiar hasta la verdad.
Jesús anuncia su partida: Los va a dejar solos y sin muchas luces, pero se compromete a enviarles a su Espíritu, el Paráclito, que actuará con ellos como maestro y guía.
Al Espíritu se le asigna como tarea la revelación. Ha habido un tiempo, el tiempo de la convivencia con Jesús, que ellos no pudieron aprovechar del todo… El mismo Jesús lo admite.
Habrá un tiempo, el tiempo del Espíritu, en el que, comunicando lo que aún está por venir, guiará hasta la verdad; es la promesa de Jesús.
Jesús habló de todo lo que había oído del Padre (Jn 15,15), pero hubiera querido dar a conocer más de cuanto reveló: el Espíritu suplirá esa falta (Jn 16,12).
El Espíritu completa la obra de Jesús; inaugurando el tiempo del conocimiento perfecto de las palabras de Jesús, guiará a la comunidad hacia la plena verdad.
Hablar, escuchar y anunciar son los tres verbos que explicitan la acción del Espíritu; su actuación es análoga a la del Hijo: hablará de cuanto haya escuchado y anunciará lo que ha de venir.
La llegada del Espíritu es el final de la historia, es un nuevo estadio de ella, el que viene delimitado entre la desaparición de Jesús y su regreso definitivo.
Mientras tanto, la comunidad poseerá en el Espíritu la mejor garantía de lectura correcta de su propia historia, que se dejará enjuiciar desde la predicación del Jesús que el Paráclito continuará.
Ni uno ni el otro son origen de la revelación que ambos, en tiempos y modos diversos, comunican. No se trata de palabras sólo, ni de simple conocimiento, sino de vida y propiedad; todo lo suyo es propiedad del Padre y todo lo que comunique el Espíritu, es propiedad del Hijo; de esa comunidad es receptor el Espíritu y conocedora, y por tanto garante, la comunidad (Jn 16,15).
La revelación del Hijo y del Espíritu implica a Dios personalmente y ‘explica’ su triple relación personal.
El Padre está al origen y es quien tiene todo lo que se refiere al Hijo. Cuanto manifiesta el Espíritu lo ha oído y tomado del Hijo; ni más, ni menos.
La gloria del Hijo está en que se comunique lo que el Espíritu ha aprendido de él. La salvación está vista aquí como revelación del Hijo; y el Dios Trino, inmerso de forma total y diferenciada en este acontecimiento: en la manifestación de Cristo está implicado el Padre, el Hijo, el Espíritu

II. Meditación: aplicar lo que dice el texto a la propia vida.

Antes de abandonar a los suyos, Jesús les prometió enviarles su Espíritu. Tras sus palabras, se percibe la experiencia del evangelista, que manifiesta el dolor que le causa la ausencia física del Señor. En este discurso se afirmó la convicción de no haber quedado del todo desprotegidos: porque les prometió el envío de su Espíritu, que vendría a continuar su misión y sobre todo sus enseñanzas.
Ante el misterio, cualquier misterio, el hombre está invitado a aceptar las verdades divinas. Misterio es, por definición, algo que puede afirmarse o negarse, pero que en ningún caso nos desvelará el secreto que encierra en sí; no se capta la existencia del misterio cuando se le entiende, pues comprenderlo sería negarlo;
No hay otra forma de situarnos ante EL Misterio Trinitario que respetando y admirando lo que se nos ofrece a nuestra consideración; sorprendernos, sobrecogernos, es entrar en el Misterio de Dios, UNO y TRINO.
La TRINIDAD Santísima nos sobrepasa, nos atrae. No tenemos misterio mayor que contemplar: Dios es PADRE, HIJO Y ESPÍRITU SANTO. Por más seguro que estemos de Él, nunca llegaremos a desentrañarlo; aunque no alberguemos dudas sobre su realidad, no lograremos aclararlo. Nuestro Dios es un enigma, es siempre una pregunta sin respuesta, una provocación abierta.
Jesús nos dijo muchas verdades, de entre ellas hay algunas que no podemos comprender sin el Espíritu. A quien no tiene al Espíritu, se le hace insoportable el evangelio y la comprensión, y más aún la vivencia del Misterio de Dios.
Jesús ha revelado el ser de Dios. Su palabra y su vida han hablado de todo un Dios que amó tanto al hombre, que quiso acercarse en tres formas diferentes: como Padre, pensándolo cuando nada existía y dándole cabida en su corazón, antes de hacerlo obra de sus manos.
Como Hijo, haciéndose a su imagen, siendo un hombre, viviendo como él y muriendo en la cruz para redimirlo.
Como Espíritu, viniendo a él como aliento divino y permaneciendo en él, a tientas y a veces extraviado.
Hablando de Dios Trinidad, por el triple amor que le mostró, Jesús no aclaró el misterio de Dios; lo hizo, si cabe, tres veces más misterioso; pero con ello descubrió su natural más íntimo, algo que no hubiera sospechado el hombre: Dios no es una persona sola, sino una comunidad, una familia. Así ha querido ser.
Los cristianos tenemos a nuestra disposición no sólo un Dios bueno, sino - y valga la expresión – a Dios como PADRE, como HIJO de DIOS y como ESPÍRITU. No quiso fallarnos, se nos multiplicó; para mejor demostrarnos su amor.
Perdemos el tiempo, y también nos quedaremos sin Dios, si nos empeñamos en comprender las razones que Él tuvo para manifestársenos en su divinidad. Dejémonos amar por Él, entrando poco a poco en su misterio personal y tan diversa, tan real y a la vez tan divino.
Podremos conocer a Dios en la medida que nos reconozcamos amados por Él: quien sabe que su entraña es el Amor, quien se siente profundamente querido por Dios, desentraña su ser, vive su misterio, y lo mejor de todo es que llega a comprenderlo, sin que tenga que intelectualizarlo. A Dios se le vive, no se le aprende memorísticamente.
No podemos quejarnos de Dios, ni tenemos razón alguna para pensar que no se interesa por nosotros. Él nos ha demostrado cuánto le interesamos, al grado que se ha 'multiplicado por tres', siendo: PADRE, HIJO y ESPÍRITU SANTO.
El mismo Jesús aseguró en el evangelio antes de dejar a los suyos en el mundo que Dios es TRINIDAD.
Él prometió su Espíritu y dijo que es el DON que el PADRE con Él darían al mundo. Todo lo que no pudo decirles, cuanto no logró comunicarles, se lo descubriría el Espíritu. Estando ausente Jesús, no abandonó a los suyos: con su Espíritu, les concedió un Maestro mejor que Él mismo y les aseguró la presencia del Padre y la suya, para siempre.
Quien se abre al Espíritu, se abre a los Tres. Jesús nos dejó lo mejor de sí mismo, lo que a había recibido del Padre. En la persona del Espíritu tenemos a los TRES. La Trinidad está con nosotros y entre nosotros.
El discípulo de Jesús, que es discípulo de su Espíritu, aprende a vivir con Dios. Vivir el triple Amor que Dios nos ofrece como PADRE, como HIJO y como ESPÍRITU es entrar en el misterio de la TRINIDAD.
Este triple amor mantiene la fe de la comunidad cristiana. Contar con semejante Dios y llevar su huella en el corazón está al alcance de todo hombre que se haga discípulo de Jesús, que lo siga y quiera ser también ‘HIJO DEL PADRE’, como Él es y aceptar su ESPÍRITU como Él lo aceptó.
El Espíritu nos precede como nuestro guía, si nos dejamos conducir por Él; nos hará recordar todo lo que Jesús nos ha compartido de su verdad más íntima y nos ayudará a soportar las exigencias de nuestra fe; nos infundirá la fuerza precisa para vivir con la dignidad que la viven los hijos de Dios, a ejemplo de CRISTO JESÚS.
Él no sólo nos habló de un Dios personal que nos ama tres veces, de tres formas diferentes, sino que ha puesto a nuestra disposición la prueba de ese Amor: su Espíritu. Él nos lo ha dejado, para que, dejándonos conducir por Él, vayamos a Dios por caminos seguros, los caminos del Amor, de la Comunión, de la Solidaridad, de la Justicia, de la Paz.
De poco nos serviría confesar hoy que Dios es Trino sino no llegáramos a sentirnos amados por Él y este amor no nos hiciera sensibles y capaces de amarnos como hermanos.
No puede interesarnos saber que en Dios hay tres personas distintas, si no logramos saber que las tres se interesan por nosotros, las tres, y de diversas maneras nos conducen a interesarnos efectivamente por nuestro prójimo más próximo.
Creer en Dios, Padre, Hijo y Espíritu, es creer que somos hermanos y templos de ese Dios Trino, que nos quiere salvos, santos, y ya, ahora.

III. ORAMOS nuestra vida desde este texto:

Dios nuestro, que siendo Padre, siendo Hijo y siendo Espíritu eres AMOR, te pedimos nos concedas vivir el Misterio de tu TRINIDAD, no intelectualmente, sino haciendo experiencia de esa presencia ÚNICA y REAL que nos has revelado, por medio de tu Hijo muy Amado. Que nos dejemos sorprender por tu amor creador, por tu providencia, por tu cuidado. Que descubramos cómo actúas, qué quieres y qué nos das a cada paso de nuestro día siendo NUESTRO PADRE.
JESÚS, HIJO DEL PADRE, que te sintamos Hermano y nos decidamos a vivir como Tú viviste, a hacer nuestra tu manera de pensar, de sentir y de actuar; que tu evangelio sea nuestro criterio y que lo llevemos en la palabra y en las actitudes a todas partes. Que quien nos vea, te vea, que quien nos oiga, te escuche y sobre todo, que nuestra vida prolongue tu ‘SI, PADRE, aquí estoy para hacer tu voluntad’.
ESPÍRITU SANTO, que llenos de Ti, hagamos que se siga renovando el mundo, nuestro mundo, el que nos confías y que esperas hagamos más tuyo. Que sepamos hacer posible el amor y la justicia, no con la fuerza ni jaloneando poderes terrenos, sino viviendo abiertos a tu acción y dando frutos, muchos frutos. DIOS, UNO y TRINO, queremos, como María, celebrar tu presencia en nosotros y en nuestra comunidad. Que con tu gracia vivamos ahora y siempre el AMOR con el que nos has llenado, por los siglos de los siglos: ¡AMÉN!


"Non dimentichiamoci di Dio. Libertà di fedi, di culture e politica"

"La migrazione appartiene alla tradizione cristiana"

Intervento del cardinale Antonio Maria Vegliò alla XX Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

CITTA' DEL VATICANO, 22 Maggio 2013 - Pubblichiamo di seguito il discorso rivolto dal cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ai partecipanti alla XX Sessione Plenaria del dicastero, inaugurata questa mattina a Roma.
La Plenaria si svolge a Palazzo San Calisto (Trastevere) e termina la sera di venerdì 24 maggio.

*** 

Eminenze, Eccellenze,
Sacerdoti, Religiosi e Religiose,
Signore e Signori,

Introduzione

Buongiorno e benvenuti a questa ventesima Assemblea Plenaria. Siamo qui riuniti per riprendere il nostro cammino verso una migliore comprensione della migrazione forzata in rapporto alla nostra fede e alla solidarietà con chi è costretto a lasciare la sua casa, e per individuare risposte più adeguate. La presenza e la sofferenza di persone forzatamente sradicate sono una sfida per la nostra fede, un invito a riflettere ancora una volta su cosa significhi essere cristiani e quali risposte siano necessarie.
Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2011, Papa Benedetto XVI ha affermato che “È in modo particolare la santa Eucaristia a costituire, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione per l’intera umanità. In effetti, l’esercizio della carità, specialmente verso i più poveri e deboli, è criterio che prova l’autenticità delle celebrazioni eucaristiche”.[1] Questo è stato espresso in modo diverso da Papa Francesco: “Ho detto «straniero»: penso a tanti stranieri ... : cosa facciamo per loro? ... Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi”.[2]

Il cambiamento delle migrazioni

La migrazione e il modo di intenderla sono cambiati. Anni fa la differenza tra migrazione volontaria e involontaria (migranti per motivi di lavoro e rifugiati) è stata definita più nettamente. Attualmente tale differenza è diventata vaga e indistinta, a volte anche controversa e contestata.
La migrazione forzata è costituita da movimenti migratori involontari. Minacce alla vita, come persecuzione, conseguenze di conflitti o altre violazioni dei diritti umani, costringono le persone a spostarsi. Alcuni attraversano le frontiere internazionali e così diventano rifugiati, mentre altri restano in una diversa regione del loro Paese e sono considerati internally displaced persons (IDP). Due categorie distinte.
Un altro gruppo di sfollati interni è costituito da quanti abitavano in luoghi in cui il Governo ha deciso di realizzare progetti infra-strutturali di sviluppo. Il mondo deve anche confrontarsi con le vittime e le conseguenze dei disastri naturali. Vi sono calamità naturali sufficientemente visibili, ma cosa si può dire di disastri a lenta insorgenza, come la perdita dei raccolti causata da un ulteriore anno di siccità? La popolazione ricorre a contromisure e un componente della famiglia migrerà temporaneamente. Si tratta forse di abbandono volontario, come nel caso dei lavoratori migranti o di persone costrette ad andarsene perché le loro famiglie possano sopravvivere? Lo stesso vale per l’innalzamento del livello degli oceani. Chi fornirà qualche forma di protezione e in base a quale mandato?
Il traffico di esseri umani esiste nella maggior parte dei Paesi, sotto forme molte diverse. Si tratta di persone che sono state ingannate sugli obiettivi del lavoro e quindi sono soggette a sfruttamento. Non possono più dire una parola sul loro destino, né sulla propria vita. Unico scopo è quello di trarre profitto ovunque lavorino o qualunque cosa facciano. Le cause profonde del traffico di esseri umani non risiedono soltanto nella povertà e nella disoccupazione. La domanda di manodopera a basso costo, di prodotti a basso prezzo o di “sesso esotico o inusuale” sono pure cause primarie del traffico. Le diverse forme di traffico costituiscono violazione dei diritti umani, che richiedono approcci e misure adeguate per restituire la dignità alle vittime.
Statistiche di questo fenomeno nella sua totalità sono difficili da ottenere e da interpretare. Tuttavia, si stima che almeno 100 milioni di persone abbiano lasciato a malincuore le loro case o si trovino in esilio. C’è anche da tener presente che nel prossimo futuro gli effetti del cambiamento climatico genereranno movimenti di popolazione su larga scala e grandi sfide per la mobilità umana.

Espansione dei mandati e della protezione

A fianco delle persone forzate all’emigrazione sono impegnate diverse organizzazioni e i loro mandati.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) è incaricato di trattare i diversi aspetti delle persone rifugiate, inclusa la ricerca di soluzioni. Esso è regolato dalla Convenzione dei rifugiati del 1951. Trattati, estensioni, cambiamenti nella realtà e la giurisprudenza hanno portato a un’ulteriore interpretazione e all’ampliamento del concetto di rifugiato. L’ACNUR ha anche ricevuto un mandato da parte dell’Assemblea Generale, nel 1974, per ridurre l’apolidia.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e il Lavoro per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), fondata nel 1949, si colloca al di fuori della Convenzione del 1951 e si occupa dell’assistenza dei rifugiati Palestinesi.
Il mandato dell’ACNUR è stato notevolmente ampliato per includere anche, a determinate condizioni e su richiesta speciale dell’Assemblea Generale, l’assistenza umanitaria, la protezione degli sfollati interni a causa di conflitti nelle aree di protezione, l’alloggio e la gestione dei campi profughi. Anche i disastri naturali forzano lo spostamento, per cui è stato chiesto all’ACNUR di assumersi l’organizzazione del cluster di protezione a livello globale.
Le persone in condizioni quasi di rifugio, che però non attraversano un confine internazionale (IDP), non hanno una base giuridica e istituzionale per ricevere protezione e assistenza umanitaria da parte della comunità internazionale. I loro Governi sono responsabili del loro benessere e della sicurezza, ma spesso non riescono a farlo perché non sono in grado di onorare tale obbligo, quando addirittura non sono essi stessi ad aver causato lo sfollamento. Un passo avanti per affrontare queste situazioni è stata la pubblicazione, nel 1998, dei Principi Guida sugli Sfollati Interni, che trattano di tutte le forme di sfollamento interno, e la Convenzione di Kampala del 2012, che è il primo strumento regionale al mondo a imporre la protezione legale per i diritti e il benessere di chi è costretto a fuggire entro i confini del suo Paese d’origine.
Il traffico di esseri umani è affrontato sotto diversi aspetti da una pluralità di soggetti, dall’ILO[3], l’ACNUR[4], l’OIM[5], l’UNODC[6], l’OSCE[7], ognuno attento a un particolare aspetto del fenomeno. Tutte queste organizzazioni e altre ancora, tra cui le Organizzazioni non Governative, sono convocate due volte l’anno dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), per collaborare come Alleanza Contro il Traffico di Persone.

Indebolimento dell’impegno e misure restrittive

Tuttavia, nonostante i progressi compiuti, si può osservare anche un’altra tendenza contrastante, costituita dall’allargamento dei mandati e dalla maggior attenzione verso chi è costretto a emigrare. L’atteggiamento dei Paesi industrializzati e nei Paesi del Sud è cambiato in senso negativo, allo scopo di rendere più difficile la vita ai richiedenti asilo. Tale cambiamento riguarda l’abbassamento degli standard umanitari e l’introduzione di misure restrittive. Ciò contribuisce al contrabbando di persone in viaggi pericolosi.
I Paesi del Sud ritengono che la condivisione degli oneri relativi ai costi sociali ed economici non sia stata sufficientemente affrontata dalla comunità internazionale. Ne è conseguita una diminuzione dell’ospitalità e dell’accordo a ricevere flussi ingenti di rifugiati per un periodo indefinito di tempo. Ne sono state gravemente colpite le tre soluzioni durature: il rimpatrio volontario, il reinsediamento e l’integrazione.
La presenza di persone forzatamente sradicate è vista come un problema, e non come un segno di un più profondo dilemma. Questo va di pari passo con un atteggiamento di irrigidimento dell’opinione pubblica e sta minacciando lo spazio di protezione.

La Protezione

La protezione non è una semplice concessione data al rifugiato. Il rifugiato e lo sfollato sono soggetti con diritti e doveri. Se questi diritti esistenti fossero rispettati e se ci fossero maggiori e più tempestivi investimenti economici e finanziari per superare le emergenze e per avviare la ricostruzione della società, farebbe davvero la differenza.
La protezione comprende tutte le attività finalizzate a ottenere il pieno rispetto dei diritti della persona in conformità alla lettera e allo spirito dei competenti organi di legge. Si compone di diritti civili e politici, come anche di diritti economici, sociali, culturali e religiosi. Tra questi diritti vi sono la libertà di movimento all’interno del Paese, la pratica della religione e l’educazione religiosa, il diritto al lavoro e l’accesso alla questione abitativa.
Non ottemperare a questi diritti ha conseguenze drammatiche. I rifugiati diventano quasi del tutto dipendenti dall’assistenza umanitaria internazionale per il cibo e altre necessità. Circa 7 milioni di persone, escludendo la popolazione dei rifugiati Palestinesi, sono costrette in situazioni prolungate, della durata media attualmente di quasi 20 anni. Ciò significa che un’intera generazione di bambini non conosce altra realtà che la situazione del campo profughi.
Il documento che stiamo per pubblicare dichiara molto bene che almeno questi diritti esistenti dovrebbero essere garantiti. Dobbiamo rispettare i principi, tenendo presente che la Convenzione sui rifugiati è stata considerata uno strumento minimale, atta a essere migliorata. Lo spirito del 1951 dovrebbe essere rianimato, per portare a una politica aperta, che risponda integralmente ai problemi di oggi e di domani.

Il coinvolgimento della Chiesa

Il Cristianesimo, fin dalle sue origini, ha sempre avuto un atteggiamento aperto al debole e allo straniero. La migrazione appartiene alla tradizione cristiana. Tante storie della Bibbia sono legate alla migrazione: Abramo, Mosè, i genitori di Gesù che sono fuggiti dal loro paese e hanno cercato rifugio in Egitto per sottrarsi alla persecuzione, al Giudizio Universale con la sua domanda: quando ti abbiamo visto ...? “Ero forestiero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La protezione degli stranieri si trova qui, allo stesso livello della sollecitudine di Dio per i poveri, le vedove e gli orfani. Questa era basata sulla tradizione ebraica. Lo straniero deve essere trattato allo stesso modo degli Israeliti (cfr Lev 19,34).
La diffusione del Vangelo, quando gli apostoli e i loro successori dipendevano dall’accoglienza e dall’ospitalità che venivano loro offerte, ha fatto sì che l’ospitalità diventasse marchio di fabbrica della Chiesa.
La primitiva comunità cristiana di Roma si distingueva soprattutto per un elemento che la rendeva diversa dal suo ambiente, cioè la sua idea di ospitalità. Se qualcuno non aveva un posto dove andare, trovava accoglienza in quella comunità.
Più tardi questa idea di ospitalità si è allargata. Si comprende così come ospedali e case di riposo, nonché opere di beneficenza siano iniziate sotto il patrocinio della comunità cristiana.
Con le generazioni successive, l’attenzione alle persone bisognose di assistenza ha subito cambiamenti di forma, ma la sollecitudine nei loro confronti è sempre rimasta una componente essenziale del cristianesimo. Questo ha trovato completamento nella Dottrina sociale della Chiesa, con principi come la solidarietà e il bene comune. Alla base della sua visione della società c’è la convinzione che “i singoli esseri umani sono il fondamento, la causa e il fine di ogni istituzione sociale”.[8]
La solidarietà è legata alla comprensione che noi siamo una sola famiglia umana, qualunque siano le nostre differenze nazionali, razziali, etniche, economiche e ideologiche, e dipendiamo gli uni dagli altri. La solidarietà è frutto di amore e giustizia messi in pratica.
Come ha affermato Papa Benedetto XVI: “Accogliere i rifugiati e offrire loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e dell’indifferenza”.[9] Questo è stato realizzato dalla Chiesa in molti modi nel corso della storia, e ogni volta e ogni situazione richiedono una risposta adeguata.

Collegamenti - relazioni con altri settori

Elementi della migrazione forzata stanno penetrando diversi aspetti della vita e toccano anche i diversi settori di questo Dicastero. Questo certamente avrà delle conseguenze. Ne segnalo soltanto alcune, in quanto molto probabilmente ne sentiremo molte altre in questi giorni.

Settore Migranti: flussi migratori misti. Dopo il loro arrivo, è necessario riservare un trattamento diverso ai richiedenti asilo, ai migranti e ad altre persone. Il problema di questi flussi è che spesso sono introdotti in modo irregolare in un Paese, cosa che alla fine può condurre a mero sfruttamento, sotto forma di traffico di esseri umani.

Settore Apostolato del Mare: l’obbligo di salvataggio in mare è ben definito nella legislazione marittima, in quella dei rifugiati, nella normativa dei diritti umani e negli strumenti operativi. Tuttavia capita sempre più spesso che i comandanti si trovino in una situazione difficile tra l’obbligo di offrire assistenza e le gravi conseguenze economiche che ciò comporta. Inoltre, a volte i membri dell’equipaggio vengono messi sotto processo per i loro tentativi di soccorso.
Le persone sono attratte dalla promessa di posti di lavoro meglio retribuiti. Alla fine, però, si ritrovano a lavorare su navi contro la loro volontà, in condizioni di sfruttamento nel settore della pesca, diventando così vittime del traffico di esseri umani.

Settore dell’Aviazione civile: molte volte i richiedenti asilo in arrivo negli aeroporti non ottengono l’accesso al territorio del Paese, ma sono trattenuti in zone di transito. Il ministero dei cappellani aeroportuali comprende coloro che sono confinati nei centri di detenzione aeroportuali. Anche gli aeroporti sono luoghi in cui si è visto che le persone possono essere vittime del traffico.

Settore Nomadi: molti Rom sono apolidi, persone quasi invisibili, prive di documenti di identità, con poche opportunità di ottenere un posto di lavoro, di studiare e di lasciare i loro poveri accampamenti. Questo si traduce spesso in accattonaggio, cui sono costretti bambini e donne. Anche nell’ambito dei Rom è presente il traffico di esseri umani.

Settore Studenti internazionali: agli studenti internazionali può accadere che la loro situazione personale cambi a seguito di un colpo di Stato nel proprio Paese oppure perché vengono coinvolti in attività consentite nel Paese di residenza, ma guardate con sospetto in patria. Queste vicende possono portarli a diventare rifugiati in loco.

Settore Turismo: lo sfruttamento sessuale di bambini e donne da parte di turisti, uomini d’affari, lavoratori dei trasporti e personale militare è un fatto ben noto. Su questo ha insistito il Codice Mondiale di Etica del Turismo, dicendo che “lo sfruttamento di esseri umani, in qualsiasi forma, in particolare sessuale, specialmente quando riguarda i bambini, viola gli obiettivi fondamentali del turismo e costituisce una negazione della sua essenza”.[10] Sono stati istituiti codici di condotta per le imprese, in modo da affrontare la questione alla radice. L’industria del turismo ha adottato nel 2001 il Codice di condotta per la protezione dei bambini dallo sfruttamento sessuale nei viaggi e nel turismo. Attualmente esso è stato sottoscritto da più di 1250 compagnie che operano in 45 Paesi diversi.

Settore Pastorale della Strada: le donne sono ben visibili sui marciapiedi delle strade. Si tratta della prostituzione di strada e di donne sottoposte a sfruttamento sessuale. Sono due realtà distinte. Ridurre le donne a vittime del traffico a scopo di sfruttamento sessuale è una violazione dei diritti umani, e accade con il ricorso alla violenza e all’inganno. Questo ha le sue conseguenze sulla sollecitudine pastorale.

Vivere senza fissa dimora ostacola la stabilità e i legami nella vita delle persone. I richiedenti asilo, i rifugiati e gli apolidi molte volte incontrano difficoltà nell’accedere a un alloggio sicuro e a prezzi accessibili, cadendo in situazioni di vita tipiche dei senza tetto.

Conclusione
I Governi, le Organizzazioni non Governative e, in generale, tutti hanno il dovere di sentirsi coinvolti nelle questioni che toccano le persone forzatamente sradicate. Una particolare responsabilità spetta alla comunità di Cristo, la Chiesa.
Gesù si identifica con gli stranieri, i malati, i sofferenti, i senza fissa dimora e con tutte le vittime innocenti di violenze e abusi. Nei loro confronti egli mostra amore e compassione.
Anche noi siamo invitati a dare testimonianza di questo messaggio di speranza per tutti, la Buona Novella per ogni situazione e per la vita intera di tutti gli esseri umani. La Chiesa ha sempre bisogno di nuova consapevolezza sul modo di accogliere gli immigrati, i richiedenti asilo, i rifugiati, coloro che sono forzatamente sradicati, per mettere in pratica la solidarietà.
Come ha detto Papa Francesco: “Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle «periferie» dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. (…) Questo io vi chiedo: siate pastori con «l’odore delle pecore», che si senta quello, invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini”.[11]
Inoltre, dobbiamo essere pronti a ridare continuamente nuova forma ai nostri sforzi pastorali dal momento che nuove sfide richiedono nuove risposte. Questo sarà il programma da attuare per rimanere fedeli a Gesù Cristo, straniero in mezzo a noi.
Grazie.
*
NOTE
[1] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 28.
[2] Papa Francesco, Udienza Generale, 24 aprile 2013.
[3] Ufficio Internazionale per il Lavoro (ILO).
[4] Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR-UNHCR).
[5] Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).
[6] Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
[7] Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OCSE-OCSE).
[8] Giovanni XXIII, Mater et Magistra, n. 219.
[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 20 giugno 2007.
[10] Organizzazione Mondiale del Turismo, Codice Etico Mondiale del Turismo, 1 ottobre 1999, art. 2 & 3.
[11] Papa Francesco, Omelia per la Messa Crismale, 28 marzo 2013.